Presepe Napoletano – Tra tradizione e innovazione

Presepe Napoletano – Tra tradizione e innovazione 2020-09-28T22:01:19+02:00
“Ma a te… te piace ‘o presepe??” “No. Nun me piace. Voglio ‘a zuppa ‘e latte!
(Natale in casa Cupiello, di Eduardo de Filippo – Il Presepe Napoletano)

Il presepe napoletano è una delle tradizioni natalizie più consolidate e seguite dalla città.
Un antica tradizione che si è mantenuta inalterata per secoli, basti pensare che la prima menzione di un presepe a Napoli compare in un atto notarile del 1021.

La parola ”presepe” deriva dal latino praesepe o praesepium ed assume tale significato: “mangiatoia”.

Il classico presepe napoletano è ambientato tradizionalmente nella Napoli del Settecento, dove visse la sua stagione d’oro, infatti uscì dalle chiese dove era stato oggetto di devozione religiosa, per entrare nelle case dell’aristocrazia e divenire oggetto di un culto ben più frivolo e mondano.
Grazie alla passione del re Carlo III di Borbone, per le arti manuali e, in modo particolare, per il presepe, la rappresentazione della Natività divenne una vera e propria moda, soprattutto tra i nobili del tempo che facevano a gara per aggiudicarsi le lodi del re per le loro creazioni.

UN PO’ DI STORIA

Alla corte di Carlo III un vero e proprio fermento accompagnava il periodo di realizzazione del presepe che si trasformava, per il re appassionato, in un’opera d’arte d’eccezione: scenografi, artisti ed architetti consigliavano il re nella progettazione e costruzione del presepe e i più abili artigiani erano chiamati a costruirne i personaggi – non più a grandezza naturale – composti da teste in terracotta, occhi di vetro, arti in legno, corpo in stoppa e un’anima in fil di ferro.

I pastori (termine che fu presto allargato a tutti i personaggi inseriti sulla scena) furono “accompagnati” dalle figure tipiche dei popolani napoletani: contadini, artigiani, pescatori, mendicanti, notabili.
I personaggi erano raffigurati anche nelle loro attività quotidiane o nei momenti di svago, come al mercato, nelle osterie, nelle botteghe; animali, strumenti di lavoro e musicali ecc…

Anche le donne di corte erano coinvolte nell’opera, alla ricerca di stoffe e tessuti provenienti dagli opifici reali di San Leucio, con cui realizzavano, a mano, i vestiti dei pastori: le figure più importanti del presepe erano riccamente abbigliate e adorne di veri gioielli in miniatura, realizzati dagli orafi dell’epoca.

Il presepe napoletano del ’700, insomma, non era più mera rappresentazione della nascita di Gesù come narrata dai Vangeli, ma, in una perfetta unione di sacro e profano, si legò inestricabilmente alla vita della città, ai suoi vicoli e alla vitalità del suo popolo offrendo uno scorcio della vita partenopea dell’epoca.

Tale era la passione del re Carlo III che, quando si trasferì in Spagna, portò con sé un grandissimo presepe e degli abili artigiani per continuare lì la tradizione appresa a Napoli.

La scena principale del presepe è la Natività, la nascita avviene nella grotta-stalla con la Madonna seduta su di un sasso, San Giuseppe in piedi, la curiosità dei pastori, il santo spirito degli angeli e l’ambiente riscaldato dai fiati di un bue e di un asinello.
Ogni personaggio assume un determinato significato che ci aiuta a comprendere la storia.

I PERSONAGGI

Benino o Benito: è colui che sogna il presepe e (sempre nella tradizione napoletana) guai a svegliarlo! di colpo il presepe sparirebbe.

Il vinaio e Cicci Bacco: Il vinaio diffonde il messaggio di morte e resurrezione al Regno dei Cieli e viene contrapposto alla figura di Cicci Bacco, retaggio delle antiche divinità pagane, dio del vino, che si presenta spesso davanti alla cantina con un fiasco in mano.

Il pescatore: è simbolicamente il pescatore di anime.

Il pesce fu il primo simbolo dei cristiani perseguitati dall’Impero Romano.

Infatti l’aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio, applicato fino al III secolo, comportò la necessità di usare dei simboli per alludere alla Divinità; tra questi c’era il pesce.

I due compari: i due compari, zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono la personificazione del Carnevale e della Morte.

Infatti al cimitero delle Fontanelle in Napoli si mostrava un cranio indicato come “A Capa ‘e zi’ Pascale” al quale si attribuivano poteri profetici, tanto che le persone lo interpellavano per chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto.

Il monaco: simbolo di un’unione tra sacro e profano che si realizza nel presepe napoletano.

La zingara: è una giovane donna, con vesti rotte ma appariscenti, è simbolo del dramma di Cristo poiché porta con sé un cesto di arnesi di ferro, metallo usato per forgiare i chiodi della crocifissione; questo personaggio è perciò segno di sventura e dolore.

Stefania: È una giovane vergine che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo.

Bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna, Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce, si finse madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare al cospetto di Gesù il giorno successivo.

Alla presenza di Maria, si compì un miracoloso prodigio: la pietra starnutì e divenne bambino, Santo Stefano, il cui compleanno si festeggia il 26 dicembre.

La meretrice: Simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine, si colloca nelle vicinanze dell’osteria, in contrapposizione alla Natività che è alle spalle.

I re magi: Rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”.

In questo senso va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da oriente, che è il punto di partenza del sole, come è chiaro anche dall’immagine del crepuscolo che si scorge tra le volte degli edifici arabi.

In origine rappresentati in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che rappresentano rispettivamente l’Europa, l’Africa e l’Asia.

La parola magi è il plurale di mago, ma per evitare ambiguità si usa dire magio. Si trattava di sapienti con poteri regali e sacerdotali.

Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, oro, incenso, mirra, cui è stato poi assegnato un significato simbolico.

Le soluzioni estetiche adottate per il posizionamento dei Magi sulla
scena sono molteplici, spesso originali ma tutte artisticamente valide.

I venditori: uno per ogni mese dell’anno: Gennaio macellaio o salumiere; Febbraio venditore di ricotta e formaggio; Marzo pollivendolo e venditore di uccelli; Aprile venditore di uova; Maggio rappresentato da una coppia di sposi recanti un cesto di ciliegie e di frutta; Giugno panettiere o farinaro; Luglio venditore di pomodori; Agosto venditore di cocomeri; Settembre venditore di fichi o seminatore; Ottobre vinaio o cacciatore; Novembre venditore di castagne; Dicembre pescivendolo o pescatore.

Il presepe oggi non è più solo un simbolo religioso, ma uno strumento descrittivo, identificativo e unificante della comunità di appartenenza, nella sua dettagliata composizione.

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